La Galleria dell'Accademia ospita, dal 5 dicembre al 18 marzo 2018, "Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta, pittura”, una esposizione ideata e curata dalla direttrice Cecilie Hollberg.
A
dispetto delle guerre, delle frequenti epidemie, nonché delle crisi
finanziarie e dei conflitti sociali, le lussuose stoffe fiorentine
riuscirono ad imporsi in tutta Europa nonostante i costi molto alti. Le
grandi corporazioni del settore, della Lana e della Seta, l'Arte di
Calimala e di Por Santa Maria, oltre ad essere strutture portanti
dell'economia divennero autentici detentori del potere politico nonché
straordinari committenti d'arte.
Gli
artigiani e i pittori, in particolare, trovarono ampia ispirazione
dalle stoffe e dalla moda del tempo, tanto da ''trasferire'' le lussuose
trame dei tessuti nelle tavole e negli affreschi custoditi in città
così come sarà possibile riscontrare nelle sfavillanti opere tessute e
dipinte che saranno visibili nell'esposizione alla Galleria
dell'Accademia.
Il
complesso, affascinante intreccio fra tessuti e dipinti dell'epoca sarà
documentato da una serie di importanti dipinti del Due-Trecento.
Tra le opere ci sarà il grande Crocifisso del tardo Duecento appartenente
alla Galleria dell'Accademia - restaurato appositamente per la mostra -
che testimonierà, con il raffinato motivo decorativo del tabellone
centrale, la ricchezza delle stoffe islamiche più antiche, riscontrabili
in alcuni tessuti presenti in Spagna alla metà del Trecento.
In esposizione infine si potrà ammirare anche un eccezionale prestito, un grazioso vestitino in
lana proveniente dal National Museum di Copenhagen, confezionato
intorno alla metà del XIV secolo per una bimba, recuperato dagli
archeologi in Groenlandia.
La
piccola veste, che aprirà il percorso espositivo, proviene da scavi
condotti nel 1921 a Herjolfnaes sulla costa orientale della Groenlandia,
che portarono al rinvenimento di un cospicuo numero di costumi,
databili per la maggior parte al Trecento. L’abitino era probabilmente
confezionato per una bambina di tre anni. Il busto e le maniche sono
strette, mentre la parte inferiore si allarga verso il fondo grazie
all’inserzione di due gheroni triangolari davanti e due dietro, posti al
centro della figura. Quelli anteriori partono da uno sprone che manca
nella parte posteriore. L’ampio scollo ovale non rende necessari spacchi
o allacciatura per indossare il capo.
Probabilmente
la veste era stata cucina con un tessuto riciclato da un altro abito,
come dimostrerebbe lo sprone anteriore, non riscontrabile negli
esemplari coevi effettivamente pervenuti o raffigurati nei dipinti. Il
tessuto, costruito con una lana locale lavorata su di un telaio
verticale a intreccio classico (saia da 2 lega 2), aveva in origine un
ordito grigio e una trama bianca, privi di tintura. La forma, aderente
in alto e alle maniche e più ampia in fondo, è quella semplificata degli
abiti degli adulti, con un numero minimo di gheroni, date le piccola
dimensioni della veste: un’esemplificazione significativa del taglio
sartoriale del tempo. È interessante notare come, anche nei luoghi più
remoti e distanti dai centri dove s’inventavano e si elaboravano le
fogge, che facevano moda, queste fossero conosciute e in qualche modo
seguite: i ritrovamenti della Groenlandia nel loro insieme ripercorrono
le variazioni del taglio che caratterizzano il XIV secolo in tutta
Europa.
Chiude il percorso espositivo il sontuoso piviale del Museo Nazionale del Bargello, che testimonia la stupefacente sfarzosità raggiunta da Firenze nel corso del Quattrocento, nel campo della seta e dei velluti.
Nicoletta Curradi
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